Chiesa di San Nicola di Butule
L'edificio sorge in un'area di recente insediamento urbanistico, in zona di San Nicola, corrispondente al sito del villaggio medievale di Butule o Guzule.
La più antica menzione della chiesa "sancti Nicholay de Guzuli" risale al 1135, quando risulta sede del priorato dei monaci vittorini nel giudicato di Torres. L'impianto è ad aula mononavata perfettamente orientata a E, costruita in pietra vulcanica in conci di media pezzatura.
Si individuano diverse fasi edilizie. La chiesa impiantata agli inizi del XII secolo fu ricostruita nell'ultimo quarto del XIII. In età tardogotica venne ristrutturata con inversione dell'asse liturgico. L'antica facciata si trovava dove ora è collocata l'abside, mentre l'attuale facciata è ottenuta con il rimaneggiamento dell'antico prospetto absidale.
Le strutture originarie restano visibili nel fianco N, dove il paramento murario è decorato con archetti ogivali impostati su peducci.
Chiesa di Sant'Antioco di Bisarcio La chiesa si isola su un'altura vulcanica distante dall'abitato di Ozieri, dalla quale domina la piana campestre circostante. Il luogo fu sede della diocesi di Bisarchium/Guisarchum documentata dal 1065-82 e soppressa nel 1503.
Sant'Antioco di Bisarcio è una delle più grandi chiese romaniche in Sardegna. L'isolamento e la posizione scenografica determinano una singolare combinazione di paesaggio e architettura, che qualifica il sito tra i più affascinanti dell'intero panorama architettonico sardo.
La chiesa (m 33 x 12, altezza m 10 circa) è in pietra vulcanica di cave locali. L'imponente sviluppo dimensionale deriva dalla funzione di cattedrale della diocesi di Bisarcio. L'impianto risale a un periodo antecedente il 1090, anno in cui un documento d'archivio replica un più antico atto di possesso, andato perduto nell'incendio che distrusse la prima cattedrale. Nell'attuale edificio si distinguono tre tempi di fabbrica: all'impianto dell'XI secolo risalgono i filari di cantoni appena sbozzati, alla base delle murature dei fianchi verso E. La seconda fase edilizia, successiva alla metà del XII secolo, è caratterizzata da cantoni di media pezzatura ben sagomati. Il portico fu aggiunto agli inizi del XIII secolo. La parte sinistra del portico, crollata, fu ricostruita nel XVI secolo,
La pianta è trinavata con abside a E. La navata centrale ha copertura lignea; quelle laterali sono voltate a crociera. Le arcate dei setti divisori si innalzano su colonne con basi e capitelli fitomorfi. Nel presbiterio si innalzano due pilastri con sezione a croce, uno dei quali regge un capitello con figurazione antropomorfa.
L'abside riflette i modi pisani delle maestranze attive nei cantieri dell'isola alla metà del XII secolo: divisione in specchi mediante semicolonne con capitello vegetale, arcatelle entro le quali sono inserite grandi losanghe gradonate in bicromia.
Il portico duecentesco ha sei campate voltate a crociera su pilastri cruciformi. Il piano superiore del portico ha tre ambienti voltati a botte, uno dei quali si affaccia sulla navata centrale. All'interno di questi ambienti, preposti a cappella vescovile e comunicanti con l'episcopio, si trova un camino a forma di mitria. All'esterno si aprono nel primo ordine tre arcate; nel secondo si dispone una serie di archetti a ogiva. Nella larga parasta laterale sono evidenti i conci di ammorsatura ai muri d'ambito dell'episcopio, che si sviluppava lungo il fianco destro della chiesa.
Grotta di San Michele La grotta sprofonda nel calcare per un'ottantina di metri ed è articolata in sale e cunicoli tappezzati di stalattiti, alimentate da piccole gocce d’acqua. In parte distrutta, fu riutilizzata sia come abitazione, sia come luogo di culto e necropoli, a sepoltura ipogea, scavata nella roccia e destinata a tomba collettiva, detta "domus de janas" (casa di fate).
Da questa grotta prende il nome la cosiddetta cultura di "Ozieri" o di "San Michele", inquadrata nel Neolitico finale in Sardegna, tra il 3.200 e il 2.800 a.C.
Si tratta di una cultura basica o di fondo, quasi popolare, che si differenzia dalla precedente cultura di Arzachena per provenienza e mantenimento dell'integrità delle origini etnologiche ed economiche-funzionali. Una cultura, dunque, di tipo urbano sedentario, democratica, ma che, giunta alla periferia provinciale, si trasforma in cultura rurale e contadina che degrada dal modello dell'accentramento urbano a quello di villaggio.
Gli agricoltori e pastori di questa cultura vivono in abitazioni a tipologia duplice: in caverna naturale o in raggruppamento elementare, su cui forse hanno influito l'ambiente e il modo economico di vivere, ovvero la pastorizia. Oppure, complesso di capanne costruite con vari materiali (pietre, frasche ed erbe palustri), come manifestazione di comunità che ricorda quella di culture primitive dell'Oriente mediterraneo, forse introdotte dai "cercatori di metallo".
Nuraghe Burghidu Il monumento, di tipo complesso (quadrilobato), comprende una torre principale alla quale sono state aggiunte quattro torri secondarie collegate a N e ad E da cortine rettilinee, mentre la struttura muraria di raccordo ad O è curvilinea.
L'edificio è costruito con blocchi di trachite squadrati disposti su filari regolari.
Del bastione si conserva soltanto una torre del retroprospetto (quella NO, alt. m 5), con accesso indipendente, che presenta l'alzato del secondo piano.
Era collegata con la torre successiva, andata distrutta come la terza, da uno stretto cunicolo.
Al mastio, a tre piani (alt. m 14), si accede dal primo piano attraverso lo squarcio provocato dal crollo della fronte del monumento. La torre conserva due camere collegate da un scala elicoidale.
L'ambiente del piano terra, integro ma notevolmente interrato, è accessibile percorrendo in discesa il vano scala e l'andito; questo presenta un'ampia nicchia.
La camera, realizzata con blocchi di trachite, ben lavorati e disposti su corsi regolari, presenta profilo di pianta interrotto dagli ingressi di tre nicchie disposte a croce.
Integro appare anche l'ambiente del primo piano (diametro m 3,20; alt. m 5,00), privo di vani sussidiari, mentre della camera del secondo livello si conservano pochi resti allo svettamento.
Il palazzo Vigliaroni è situato lungo il corso principale della cittadina, in un'area irregolare e in pendenza.
Una rassegna degli studi si trova nella bibliografia relativa alla scheda nel volume della "Storia dell'arte in Sardegna" sull'architettura otto-novecentesca (2001).
Costruito per il funzionario statale Pietro Vigliaroni, su disegno dell'ingegnere Efisio Garau, fu terminato nel 1905 come si può leggere nello straordinario cartiglio d'angolo, retto da un leone intrecciato a foglie di palma e frutti. L'irregolarità del lotto disponibile ha costretto ad una serie di facciate, ciascuna delle quali mostra aspetti diversi secondo una gerarchia che dal piano nobile all'ultimo alleggerisce progressivamente l'apparato decorativo, oscillante tra richiami storicisti (archi e lesene) e fantasie moderniste.
Altrettanto interessante è la cura dei materiali utilizzati spesso per contrasto cromatico, che si segnala essenzialmente nelle finestre, ornate e caratterizzate da aperture di forme differenti anche nei serramenti: è particolarmente degno di attenzione l'infisso del piano nobile che si piega seguendo perfettamente l'arco sinuoso della finestra.
Teatro De Candia L'edificio si trova nella parte storica dell'abitato cittadino e si affaccia su una piccola piazza.
Inaugurato nei primissimi mesi del 1927, il teatro ha una semplice e garbata facciata non priva di interesse: è divisa in tre parti con due ali simmetriche che in ciascuno dei due piani contengono ciascuna una porta e una finestra a due luci, separata da un pilastrino. La parte centrale è invece più articolata, presentando un portico retto da coppie di pilastri che sopportano un corpo sporgente con triplice apertura ad arco ribassato. Due maschere teatrali ai lati richiamano la funzione del fabbricato, ribadita nel fastigio che riporta l'intitolazione del teatro De Candia, secondo soluzioni vicine all'Art Déco.